Il c.d. rito ordinario del processo amministrativo riguarda essenzialmente azioni di annullamento e di nullità di “atti” amministrativi e le azioni di condanna al risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche amministrazioni, con esclusione, tuttavia, delle azioni espressamente indicate dal Codice del processo amministrativo (D. Lgs. n.104/2010), sulla base di una criterio per “materia”.
E’ bene precisare che le azioni relative a tali “materie” escluse dalla trattazione con rito ordinario non sono affatto marginali; basti pensare che tra queste rientrano quelle in materia appalti/concessioni, in materia espropri, autorità indipendenti e molto altro.
Ciò premesso, il rito ordinario nel processo amministrativo si caratterizza rispetto ai riti speciali principalmente in relazione ai termini di introduzione del giudizio e a quelli processuali che sono più “lunghi”.
Il processo viene introdotto con un ricorso redatto in conformità alla legge processuale e, nel quale, tra l’altro devono essere rappresentate le ragioni poste a sostegno della domanda di annullamento/nullità/condanna.
Il primo grado di giudizio nel rito ordinario del processo amministrativo.
Nel rito ordinario del processo amministrativo il ricorso deve essere notificato all’amministrazione e ai c.d. controinteressati entro il termine decadenziale di legge che, per l’azione di annullamento (la più comune), nel rito ordinario è di 60 giorni dalla comunicazione dell’atto ritenuto illegittimo o dalla sua pubblicazione.
La redazione del ricorso, come forse si può intuire, è un’attività particolarmente delicata proprio in ragione dell’esistenza del termine decadenziale.
Infatti, i motivi posti a base dell’azione giudiziaria sono, per così dire, definitivi e non potranno essere successivamente modificati o integrati, pena l’irricevibilità dei motivi nuovi (si veda, però, quanto segue sul c.d. ricorso per motivi aggiunti).
Nel rito ordinario del processo amministrativo il ricorso notificato deve poi essere depositato (telematicamente) presso il comnpetente TAR entro 30 giorni dal perfezionamento dell’ultima notifica unitamente alla documentazione posta a sostegno della domanda e alla c.d. istanza di fissazione udienza.
Nell’ipotesi base (la variante più semplice) la fase introduttiva del giudizio si completa con la costituzione in giudizio delle parti alle quali è stato notificato il ricorso (se interessate a costituirsi).
Il Codice, in relazione a tale costituzione, prevede un termine di 30 giorni dal ricevimento dalla notifica, il quale, tuttavia è considerato non perentorio.
Ciò significa che, di norma, le parti convenute depositano una mera costituzione formale senza anticipare le difese che spenderanno solo in vista dell’udienza.
Invero, le pubbliche amministrazioni sono obbligate a depositare entro il suddetto termine il provvedimento impugnato, gli atti e provvedimenti in esso citati e gli altri documenti ritenuti utili per il giudizio.
Ciò posto, la fase introduttiva del giudizio si può rivelare ben più complessa.
Innanzitutto, è possibile che uno dei controinteressati notifichi un c.d. ricorso incidentale.
Si tratta, nella sostanza, di un atto con il quale l’atto già impugnato (o atto pregresso) viene impugnato per ragioni diverse e pregiudiziali, cosicché l’accoglimento di queste ultime renderebbe carente di interesse processuale il ricorso principale.
E’ uno strumento particolarmente utilizzato nelle procedure competitive laddove, ad esempio, il ricorrente principale impugna l’atto aggiudicativo ed il ricorrente incidentale reagisce impugnando l’ammissione alla procedura del ricorrente principale.
Un’ulteriore variante della fase introduttiva è quella in cui il ricorrente (principale o incidentale) provveda in corso di giudizio alla notifica e al deposito del c.d. ricorso per motivi aggiunti.
Quest’ultimo è uno strumento processuale con il quale si estende l’oggetto del giudizio, introducendo nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove (ad esempio l’annullamento di altri atti non precedentemente noti).
Ovviamente, in ragione dei termini decadenziali, rimangono irricevibili tutte le ragioni e le domande già precedentemente proponibili con il ricorso principale o incidentale.
In altri termini, il ricorso per motivi aggiunti non è mai uno strumento che consenta la rimessione in termini.
I casi tipici di azione per “motivi aggiunti” sono quelli in cui la pubblica amministrazione depositi documenti non noti al ricorrente e sulla base dei quali si possano evincere nuovi e diversi vizi dell’atto già impugnato prima non evincibili, ovvero il caso di adozione da parte dell’amministrazione di un atto nuovo e in qualche modo connesso a quello impugnato e anch’esso viziato per le stesse o altre ragioni.
E’ bene evidenziare che se in alcuni casi il ricorso per motivi aggiunti è solo una “possibilità”, in altri – specialmente in quelli di adozione di atti nuovi connessi – potrebbe essere una vera e propria necessità per evitare una sopraggiunta carenza di interesse processuale del ricorso principale; dunque, bisognerà valutare attentamente come procedere in base allo sviluppo degli eventi.
Nell parte generale si è ricordato che il processo amministrativo, in particolari materie, ha ad oggetto veri e propri diritti soggettivi.
Ebbene, in tali casi, è possibile che una delle parti convenute nel giudizio amministrativo si costituisca avanzando una c.d. domanda riconvenzionale (vale a dire, in termini atecnici una “contro-domanda” di accertamento e condanna).
Le possibili varianti della fase introduttiva non sono ancora esaurite.
Infatti anche nel processo amministrativo avanti al Tar è possibile il c.d. intervento di soggetti terzi interessati. Tali interventi possono essere “ad adiuvandum” (quando l’interveniente appoggia l’azione principale) o “ad opponendum” (quando l’interveniente osteggia l’azione principale).
Di norma, il giudizio amministrativo comporta lo svolgimento di un’unica udienza di merito, la quale viene fissata dal Tar sulla base del c.d. ruolo (un elenco cronologico delle cause).
In alcuni casi e principalmente per ragioni di opportunità, la fissazione dell’udienza può essere anticipata rispetto al ruolo; a tale proposito è consentito alle parti di sottoporre al Giudice una c.d. istanza di prelievo con a quale possono rappresentare le ritenute ragioni a sostegno di un’accelerazione dei tempi di causa.
Ciò detto, la fissazione dell’udienza è un momento centrale del processo poichè dal giorno dell’udienza decorrono a ritroso i seguenti termini liberi decadenziali:
- 40 giorni per il deposito di documenti;
- 30 giorni per il deposito di memorie;
- 20 giorni per il deposito di repliche.
Tra questi termini, nella prassi, è certamente fondamentale quello per le memorie, rappresentando questo il momento in cui le amministrazioni e i controinteressati presentano per la prima volta le proprie argomentazioni difensive.
Nel corso dell’udienza, salvo che non debbano essere adottate decisioni istruttorie con riferimento all’assunzione di prove, la causa viene discussa nel merito e, dunque, passa in decisione.
Una breve parentesi deve essere dedicata alle ipotesi in cui vi sia la necessità di acquisizione di prove da parte del Giudice.
A tale riguardo, è utile evidenziare che il processo amministrativo nasce come processo “in puro diritto” e, per lo più, è un processo di carattere documentale.
Il Legislatore, tuttavia, ha adeguato il processo alla innegabile necessità, in relazione a determinati casi, di acquisizione di ulteriori mezzi di prova rispetto ai documenti.
Oggi, infatti, sebbene con alcune differenze nel procedimento di acquisizione, sono disponibili nel processo amministrativo tutti i mezzi di prova previsti nel rito civile (ad esempio l’ispezione e la testimonianza), ad esclusione dell’interrogatorio formale e del giuramento.
Inoltre, nel caso debbano essere svolti accertamenti tecnici, il Tribunale amministrativo regionale può disporre la c.d. verificazione e, se strettamente necessario, una consulenza tecnica d’ufficio.
Peraltro, il Giudice amministrativo, in punto di acquisizione, parrebbe avere dei poteri di acquisizione d’ufficio della prova più ampi rispetto al Giudice civile.
Tutto ciò premesso, quindi, laddove vi siano esigenze istruttorie, l’udienza di discussione si conclude con un rinvio ad altra udienza di discussione (con nuovi termini a ritroso) a fronte di un’ordinanza istruttoria del Giudice.
Una volta terminata l’istruttoria e svoltasi l’ultima udienza di discussione, la causa, come detto, verrà mandata in decisione e verrà definita con una sentenza esecutiva.
Il giudizio di Appello avanti il Consiglio di Stato in funzione giurisdizionale o alla CGA siciliano.
L’appello è il principale e più importante mezzo di impugnazione previsto dal Codice del processo amministrativo.
L’appello ha necessariamente ad oggetto una sentenza di primo grado e può essere proposto dalla parte risultata totalmente o parzialmente soccombente davanti al Giudice di prime cure.
Il giudizio di appello nel rito ordinario deve essere promosso o nel termine breve di 60 giorni dalla notifica della sentenza ad opera della controparte ovvero nel termine lungo di sei mesi dalla sua pubblicazione.
Il Giudice competente per l’appello è il Consiglio di Stato a Roma, salvo che per l’appello avverso le sentenze del Tar Palermo, per il quale è competente il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia.
In punto di fase introduttiva, è bene evidenziare che una sentenza può essere impugnata da più di una delle parti che hanno partecipato al processo di primo grado e ciò, vuoi per la pluralità di soccombenti (ad esempio amministrazione e controinteressato) vuoi in ragione di una soccombenza reciproca.
A tale riguardo, si definisce appello incidentale quello temporalmente successivo all’appello principale.
Si parla, invece, di appello incidentale tardivo quando la parte che lo propone sarebbe decaduta, ma il cui interesse “rinasce” alla luce dell’appello proposto da una delle altre parti; tale appello viene deciso dal Giudice solo a condizione che l’appello principale sia ammissibile.
In ogni caso, il Codice del processo amministrativo statuisce che tutte le impugnazioni avverso la medesima sentenza devono essere trattate in un unico processo.
Su istanza di parte e previa udienza in camera di consiglio, il Giudice d’Appello può sospendere l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado nel caso di fumus boni iuris e periculum in mora. E’ prevista, quindi, anche una fase cautelare (eventuale).
Per quanto riguarda il c.d. merito, lo svolgimento del giudizio di appello è sostanzialmente analogo a quello di primo grado, salvo per la maggiore compressione della fase istruttoria.
Quest’ultima, infatti, è condizionata dal divieto di assunzione di nuove prove e mezzi di prova, salvo che il Collegio non li ritenga indispensabili o nel caso, raro, di remissione in termini per fatto non imputabile.
In buona sostanza, una volta verificata l’integrità del contraddittorio verrà fissata l’udienza di discussione (con i predetti termini a ritroso) successivamente alla quale la causa verrà introitata in decisione.
Il giudizio di appello si chiude con una sentenza definitiva non impugnabile se non per questioni di giurisdizione. Fanno eccezione i limitati casi di legge in cui il giudizio deve essere rimesso al competente TAR (ad esempio per nullità della sentenza o mancata integrazione del contraddittorio in primo grado).
Con la sentenza d’appello, dunque, si forma il c.d. giudicato formale sulle questioni che sono state oggetto di decisione.
Gli altri mezzi di impugnazione.
In aggiunta all’appello e sulla base dei diversi presupposti previsti dal Codice del processo amministrativo, sono esperibili anche i seguenti mezzi di impugnazione:
- Ricorso per Cassazione per motivi di giurisdizione;
- Revocazione ordinaria e straordinaria;
- Opposizione di terzo.
In questi casi, escluse le differenze sui termini di impugnazione, il rito non differisce da quello del giudizio di appello.