Sul “processo” in generale

Al fine di rappresentare al meglio in cosa consista l’attività che lo Studio legale svolge nell’ambito dell’attività di contenzioso, è senza dubbio utile breve inquadramento sul “processo” nell’ordinamento giuridico italiano e sul suo significato.

Senza pretesa di esaustività e di massimo rigore tecnico, tale inquadramento si propone di evidenziare i concetti di base del diritto processuale italiano, utili ai non adetti ai lavori – ad esempio, cittadini e società stranieri, ovvero ai non giuristi – per la comprensione di questa complessa materia.

A nostro avviso, la più efficace definizione di processo è la seguente: un procedimento regolato dalla legge, fondato sul contraddittorio tra le parti e che si svolge avanti ad un Giudice che sia terzo ed imparziale.

In effetti, tale definizione ricalca il primo comma dell’art. 111 della Costituzione repubblicana, il quale prevede, altresì, il principio della ragionevole durata del processo.

Il processo rappresenta da sempre un momento di particolare rilevanza nello svolgersi della società civile, tanto che la Costituzione italiana riconosce e tutela espressamente sia il diritto all’azione – vale a dire, il diritto di agire in giudizio, dando inizio al processo – sia il diritto di difesa (cfr. art. 24 Cost.).

In buona sostanza, il processo è il “luogo” in cui trovano (o meglio, devono trovare) una soluzione i conflitti insorti tra i vari soggetti portatori di interessi tra loro in disaccordo su uno o più fatti, sull’interpretazione o applicazione delle norme giuridiche (siano esse di fonte normativa o contrattuale), ovvero sulla rilevanza giuridica stessa di un determinato “bene della vita”.

In altri termini, la funzione del processo è quella di rispondere alla domanda di tutela di un determinato interesse giuridicamente rilevante (diritto o interesse legittimo), dando alle parti e agli eventuali interessati la possibilità di contraddire sulla base del principio della “parità di armi”.

Un fondamentale criterio concettuale è quello che distingue la tipologia di processo in base al tipo di “tutela” giuridica offerta dal potere (pubblico) giudiziario.

La tutela c.d. dichiarativa è quella offerta dal processo di cognizione.

In parole semplici, essa consiste in una decisione giudiziale (principalmente, ma non necessariamente, in forma di sentenza) che accerta e dichiara con efficacia tra le parti la sussistenza o meno di una determinata situazione giuridica.

Per fare un esempio, il Giudice accerta e dichiara che esiste un diritto di proprietà (prima contestato tra e parti), ovvero dichiara fondato il diritto alla risoluzione di un contratto ecc.; si parla di provvedimenti di “mero accertamento”.

Rientrano nella tutela dichiarativa anche le condanne, le quali presuppongono un preventivo accertamento.

Ad esempio, accertata l’esistenza di un credito (contestato nell’an e nel quantum), il debitore è condannato a pagare.

Infine, rientrano nella tutela dichiarativa anche le decisioni c.d. costitutive di una situazione giuridica nuova che solo il Giudice può “creare” o “demolire” in presenza dei necessari presupposti di legge.

La tutela costitutiva è tipica nel diritto processuale amministrativo, in cui il Giudice annulla un provvedimento amministrativo illegittimo.

Nel diritto civile un esempio di tutela costitutiva è quello della sentenza con cui viene trasferito d’imperio il diritto di proprietà in base ad un contratto preliminare inadempiuto.

Tale tipo di tutela si esplica attraverso decisioni aventi efficacia tra le sole parti del processo ed aventi carattere (tendenzialmente) stabile e definitivo, alla chiusura del processo.

La c.d. tutela cautelare assolve ad una funzione diversa.

In alcune occasioni, il mutare di una situazione fattuale o di diritto nel corso di un processo o (addirittura prima che inizi) potrebbe avere l’effetto di precludere alla parte che ha ragione di avere giustizia dal punto di vista effettivo e sostanziale, pur avendo ottenuto, dopo un certo tempo, una decisione favorevole.

Si pensi al caso emblematico del debitore che nelle more del processo sottragga i propri beni alla garanzia del credito; al termine del giudizio il creditore potrebbe trovarsi con un provvedimento di condanna sostanzialmente ineseguibile.

Ovvero, si pensi al caso di un ordine di demolizione amministrativo illegittimo ma efficacie. Il privato potrebbe ottenere l’annullamento ma nel frattempo il suo bene della vita sarebbe stato caducato.

Ebbene, la tutela cautelare si esplica attraverso l’adozione di decisioni giudiziali dal carattere sommario, interinale e provvisorio (o comunque, sempre revocabile).

I necessari presupposti che il Giudice deve verificare sono, tuttavia, il c.d. fumus boni iuris nonché il pericolo di danno grave e irreparabile (periculum in mora).

Infine, vi è la tutela c.d. esecutiva, che si rende necessaria laddove la parte soccombente in un giudizio di cognizione non si adegui spontaneamente a quanto stabilito in via esecutiva dal Giudice, rendendosi necessario l’esercizio di un potere coattivo da parte dell’autorità giudiziaria.

Il caso tipico (ma non certo l’unico) è quello di un debitore di una somma pecuniaria che ometta il pagamento; in tale caso il creditore può far espropriare i beni del debitore moroso per venderli e ottenere quanto gli spetta.

Tutto ciò premesso, nella precedente parte si è detto che il processo è, nella sostanza, un procedimento, vale a dire una sequenza di atti (giuridici) tra loro organizzati in fasi concettualmente distinte.

Con specifico riferimento al processo di cognizione si possono individuare le seguenti fasi:

  1. Fase introduttiva;
  2. Fase di trattazione e istruttoria;
  3. Fase decisionale

Fase introduttiva

E’ la fase iniziale del processo che raccoglie tutti gli atti delle parti e del Giudice finalizzati ad introdurre il processo, individuarne l’oggetto e a costituire il contraddittorio (ad esempio, con la c.d. vocatio in ius) o a verificarne la regolarità.

Il primo ed essenziale atto di un processo (qualsiasi tipo d processo, sia esso, civile, amministrativo o penale) è la c.d. domanda giudiziale; senza domanda, dunque, non vi è, o non vi può essere alcun processo.

La domanda processuale è un atto estremamente delicato, poiché la stessa indica l’oggetto del giudizio e, quindi, anche l’oggetto della decisione.

La domanda giudiziale, nella sostanza, è quell’atto con cui la parte, eventualmente dopo aver illustrato la sussistenza dei presupposti processuali previsti dalla legge, deve indicare l’interesse giuridico di cui domanda tutela, specificando le ragioni in fatto e in diritto a sostegno della richiesta rivolta al Giudice di adottare un determinato tipo di provvedimento avente effetto nei confronti di una o più controparti ben individuate.

Rientrano nella fase introduttiva di un processo anche gli atti con i quali le controparti chiamate in giudizio o informate dello stesso si costituiscono, illustrando le proprie difese o, se consentito, avanzando loro stesse delle domande giudiziali al Giudice (nel processo civile si parla di “domande riconvenzionali”).

Parimenti, sono inquadrabili nella fase introduttiva tutte quelle attività del Giudice volte alla verifica della corretta costituzione del contraddittorio (ad esempio, la correttezza delle notifiche) ovvero alla verifica e decisione circa la sussistenza di alcuni dei presupposti processuali quali la sua giurisdizione o competenza o terzietà ecc.

Fase di trattazione e istruttoria

Concettualmente tale fase, tipicamente nel processo civile, è quella in cui le parti, per iscritto e/o in udienza si confrontano sulle loro argomentazioni ed eventualmente le sviluppano, così circoscrivendo in maniera definitiva l’oggetto del giudizio (trattazione).

Con l’istruttoria, invece, viene completata l’acquisizione del materiale probatorio che il Giudice dovrà valutare per poter adottare una decisione motivata.

Sono tipiche attività di questa fase, la produzione di documenti, le istanze al Giudice per l’acquisizione delle c.d. prove costituende (ad esempio, testimonianze, ispezioni ecc.) e la disposizione ed effettuazione di consulenze tecniche d’ufficio, nonché, ovviamente, l’adozione dei provvedimenti necessari per procedere.

Tale fase si chiude, di norma, quando il Giudice ritiene matura la causa per la decisione. Senonchè, il Giudice è comunque legittimato/obbligato a riaprirla, qualora ciò fosse necessario (ad esempio, nel caso in cui ritenga di sollevare d’ufficio una questione che non è stata oggetto di contraddittorio tra le parti).

Fase decisionale

Tale fase raccoglie tutte quelle attività difensive conclusive (ad esempio, le memorie conclusionali illustrative) e, soprattutto, il processo decisionale del Giudice originante il provvedimento motivato conclusivo del giudizio (o del grado di giudizio) che accoglie, parzialmente o totalmente, le domande, ovvero le respinge.

Tutto ciò premesso, è fondamentale puntualizzare che a questa impostazione concettuale non corrisponde un unico tipo di processo-procedimento.

Infatti, nell’ordinamento italiano il processo può assumere diverse forme, parlandosi in questo caso di “rito”.

In buona sostanza, in base alla materia e per la salvaguardia di determinati principi (ad esempio, l’economia processuale o la speditezza ecc.) il legislatore ha previsto diverse tipologie di “rito” e, dunque, tipologie di processo che si introducono, svolgono e concludono secondo modalità e forme diverse.

Nell’ambito del diritto processuale civile, per esempio, il rito del lavoro è diverso e più agile rispetto al rito c.d. ordinario. Nel processo amministrativo, il rito ordinario è diverso rispetto a quello abbreviato. Ovvero, nel diritto penale, il rito ordinario è diverso dal c.d. patteggiamento o dal processo per direttissima.